Giurisprudenza
In caso di condanna o decreto irrevocabili, relativi ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell'esecuzione revoca il provvedimento perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili, atteso che il venir meno della condanna non può incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza.
L'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall'art. 131-bis cod. pen., avendo natura sostanziale, è applicabile, per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e per solo questi ultimi la relativa questione,in applicazione degli artt. 2, comma quarto, cod. pen. e 129 cod. proc. pen., è deducibile e rilevabile d'ufficio ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen. anche nel caso di ricorso inammissibile (In motivazione la Corte ha specificato che, quando, invece, non si discute dell'applicazione della sopravvenuta legge più favorevole, la inammissibilità del ricorso preclude la deducibilità e la rilevabilità d'ufficio della questione).
Il diritto dell'imputato, desumibile dall'art. 2, comma quarto, cod. pen., di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo, comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la "lex mitior" anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la finalità rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità.
Il giudice dell'esecuzione può revocare, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorché l'evenienza di "abolitio criminis" non sia stata rilevata dal giudice della cognizione. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la revocabilità della sentenza deve invece essere esclusa nella diversa ipotesi in cui, in assenza di interventi del legislatore, si verifichi un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento - anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione - non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretata).
A seguito della dichiarazione d'incostituzionalità degli artt. 4 bis e 4 vicies ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, pronunciata con sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, deve escludersi la rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire dall'entrata in vigore di detta legge e fino all'entrata in vigore del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo novellato dalla citata legge n. 49 del 2006. (Nella fattispecie, riferita alla sostanza "nandrolone", la Suprema Corte ha chiarito che la novella del 2014, reinserendo nelle tabelle le sostanze introdotte con la disciplina incostituzionale, per rimediare all'intervenuta caducazione "ex tunc" delle fattispecie aventi ad oggetto tali stupefacenti, ha creato nuove incriminazioni alle quali deve applicarsi il principio di irretroattività della legge penale).
In tema di sostanze stupefacenti, quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di applicazione di pena ex art. 444 cod. proc. pen., interviene la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, il giudicato permane quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, ma il giudice della esecuzione deve rideterminare la pena, attesa la sua illegalità sopravvenuta, in favore del condannato con le modalità di cui al procedimento previsto dall'art. 188 disp. att. cod. proc. pen. e solo in caso di mancato accordo, ovvero di pena concordata ritenuta incongrua, provvede autonomamente ai sensi degli artt. 132- 133 cod. pen.
Il delitto punibile in astratto con la pena dell'ergastolo, commesso prima della modifica dell'art. 157 cod. pen., per effetto della legge 5 dicembre 2005, n. 251, è imprescrittibile, pur in presenza del riconoscimento di circostanza attenuante dalla quale derivi l'applicazione di pena detentiva temporanea. (Fattispecie relativa a delitti di omicidio aggravato commessi prima della riforma dell'art. 157 cod. pen., giudicati previo riconoscimento della circostanza attenuante speciale prevista per i collaboratori di giustizia dall'art. 8 D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con legge 12 luglio 1991, n. 203)
Il principio di necessaria retroattività della disposizione più favorevole, affermato dalla sentenza CEDU del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola contro Italia, non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali, che è regolata dal principio "tempus regit actum". (Fattispecie relativa agli effetti della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modifiche dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49).
Le modifiche introdotte nell'art. 2 bis della legge n. 575 del 1965, dalle leggi n. 125 del 2008 e n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell'ambito del procedimento di prevenzione, sicchè rimane tuttora valida l'assimilazione dell'istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l'applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all'art. 200 cod. pen.
Non può trovare applicazione la legge penale modificativa più favorevole entrata in vigore dopo la sentenza della Corte di cassazione che dispone l'annullamento con rinvio ai soli fini della determinazione della pena, ma prima della definizione di questa ulteriore fase del giudizio, poiché i limiti della pronuncia rescindente determinano l'irrevocabilità della decisione impugnata in ordine alla responsabilità penale ed alla qualificazione dei fatti ascritti all'imputato. (Fattispecie relativa a condanna per concussione annullata limitatamente alla individuazione della pena prima dell'approvazione della legge 6 novembre 2012, n. 190).
In materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, che hanno natura amministrativa, non vige, salvo diversa espressa previsione di legge, il canone penalistico dell'applicazione retroattiva della norma più favorevole, onde al fatto si applica la sanzione vigente nel momento in cui il medesimo è stato commesso. (Nel caso di specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza con cui il Consiglio Nazionale Forense aveva comminato - ad un avvocato che aveva richiesto, in sede penale, l'applicazione della sanzione di un anno e dieci mesi di reclusione e di euro centoquaranta di multa per i delitti di cui agli artt. 476, 479 e 482 cod. pen. - la sanzione disciplinare della cancellazione dall'albo vigente al momento del fatto, sebbene la stessa sia stata sostituita da quella della radiazione per effetto della legge 31 dicembre 2012, n. 247).
Il reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000), entrato in vigore il 1° gennaio 2005, che punisce il mancato adempimento dell'obbligazione tributaria entro il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta relativa all'esercizio precedente, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all'anno 2004, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.
Il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato adempimento dell'obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta dell'anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all'anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.
La confisca per equivalente, introdotta per i reati tributari dall'art. 1, comma 143, l. n. 244 del 2007 ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non essendo estensibile ad essa la regola dettata per le misure di sicurezza dall'art. 200 cod. pen., non si applica ai reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge citata.
Non può essere ulteriormente eseguita, ma deve essere sostituita con quella di anni trenta di reclusione, la pena dell'ergastolo inflitta in applicazione dell'art. 7, comma primo, D.L. n. 341 del 2000 all'esito di giudizio abbreviato richiesto dall'interessato nella vigenza dell'art. 30, comma primo, lett. b), legge n. 479 del 1999 - il quale disponeva, per il caso di accesso al rito speciale, la sostituzione della sanzione detentiva perpetua con quella temporanea nella misura precisata -, anche se la condanna è divenuta irrevocabile prima della dichiarazione di illegittimità della disposizione più rigorosa, pronunciata per violazionedell'art. 117 Cost.in riferimento all'art. 7, par. 1, della Convenzione Edu, laddove riconosce il diritto dell'imputato a beneficiare del trattamento "intermedio" più favorevole, in quanto il divieto di dare esecuzione ad una sanzione penale contemplata da una norma dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi è principio di rango sovraordinato rispetto agli interessi sottesi all'intangibilità del giudicato, che trova attuazione nell'art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
In tema di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, l'avvenuta abrogazione di divieti già tipizzati nel codice deontologico, non può elidere l'antigiuridicità delle condotte pregresse, secondo la regola penalistica della retroattività degli effetti derivanti dalla "abolitio criminis" ai procedimenti in corso, poiché l'illecito deontologico è riconducibile al "genus" degli illeciti amministrativi, per i quali - in difetto della "eadem ratio" - non trova applicazione, in via analogica, il principio del "favor rei" sancito dall'art. 2 cod. pen., bensì quello del "tempus regit actum". (Nella specie, la C.S. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva irrogato la sanzione disciplinare per violazione del divieto del patto di quota lite).
Il giudice, chiamato ad applicare una legge di interpretazione autentica, non può qualificarla come innovativa e circoscriverne temporalmente, in contrasto con la sua "ratio" ispiratrice, l'area operativa, perchè finirebbe in tal modo per disapplicarla, mentre l'autorità imperativa e generale della legge gli impone di adeguarvisi, il che delinea il confine in presenza del quale ogni diversa operazione ermeneutica deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale. (In applicazione del principio la S.C. ha dichiarato d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 7 e 8 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, in riferimento agli articoli 3 e 117, comma primo, della Costituzione - quest'ultimo in relazione all'articolo 7 della Convenzione EDU-, «nella parte in cui le disposizioni interne operano retroattivamente, e, più specificamente, in relazione alla posizione di coloro che, pur avendo formulato richiesta di giudizio abbreviato nella vigenza della sola legge n. 479 del 1999, sono stati giudicati successivamente, quando cioè, a far data dal pomeriggio del 24 novembre 2000 - pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell'art. 2 r.d. n. 1252 del 7 giugno 1923 -, era entrato in vigore il citato D.L., con conseguente applicazione del più sfavorevole trattamento sanzionatorio previsto dal medesimo decreto», ritenendo impraticabile un'interpretazione della predetta normativa interna conforme all'articolo 7 Convenzione EDU, nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo).
In caso di condanna all'esito del giudizio abbreviato, la pena da infliggere per i reati astrattamente punibili con l'ergastolo è quella prevista dalla legge vigente nel momento della richiesta di accesso al rito: ne consegue che, ove quest'ultima sia intervenuta nel vigore dell'art. 7 D.L. n. 341 del 2000, va applicata (ed eseguita) la sanzione prevista da tale norma. (La S. C. ha precisato che, tra le diverse leggi succedutesi nel tempo, che prevedono la specie e l'entità della pena da infliggere all'imputato in caso di condanna all'esito del giudizio abbreviato per i reati astrattamente punibili con l'ergastolo, la legge intermedia più favorevole non trova applicazione quando la richiesta di accesso al rito speciale non sia avvenuta durante la vigenza di quest'ultima, ma soltanto successivamente, nel vigore della legge posteriore che modifica quella precedente).
Nella ipotesi di assoluzione perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato, sussiste l'interesse dell'imputato exart. 568, comma quarto, cod. proc. pen., ad impugnare con ricorso per cassazione la statuizione concernente l'ordine di trasmissione degli atti all'autorità amministrativa per l'applicazione delle sanzioni relative a un illecito depenalizzato.
Ai fini dell'operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di primo grado, indipendentemente dall'esito di condanna o di assoluzione, determina la pendenza in grado d'appello del procedimento, ostativa all'applicazione retroattiva delle norme più favorevoli.
L'esclusione del vincolo di solidarietà conseguente all'abrogazionedell'art. 535, comma secondo, cod. proc. pen., non ha effetto sulle statuizioni di condanna alle spese emesse anteriormente in tal senso e passate in giudicato, e ciò non per la natura processuale della suddetta disposizione abrogatrice, cui va invece riconosciuta natura di norma sostanziale, bensì in forza della preclusione di cui all'ultimo inciso del comma quartodell'art. 2 cod. pen.
In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, in caso di modifica della norma che individua la condotta disciplinarmente rilevante, per accertare se ricorra una ipotesi di "abolitio criminis" è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di illecito, ovvero, non incidendo sulla struttura dello stesso, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. (Nella specie, la S.C. ha rilevato che l'originaria contestazione ex art. 18 r.d.lgs. n. 511 del 1946, costituita dalla violazione del dovere di riserbo, correttezza e rispetto per un collega, ricadeva anche nella previsione di cui all'art. 2, primo comma, lett. d) del d.lgs. n. 109 del 2006 che prevede, quale autonoma e separata ipotesi, quella dei comportamenti gravemente scorretti nei confronti di altri magistrati).
In tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all'imputato, non costituisce un principio dell'ordinamento processuale, nemmeno nell'ambito delle misure cautelari, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell'ordinamento processuale. (Vedi Corte cost. 14 gennaio 1982, n. 15).
Il reato di inottemperanza all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o dell'attestazione della regolare presenza nel territorio dello Stato è configurabile soltanto nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, e non anche degli stranieri in posizione irregolare, a seguito della modifica dell'art. 6, comma terzo, D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, recata dall'art. 1, comma ventiduesimo, lett. h), L. 15 luglio 2009, n. 94, che ha comportato una "abolitio criminis", ai sensidell'art. 2, comma secondo, cod. pen., della preesistente fattispecie per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare.
È inammissibile, per difetto del requisito dell'autosufficienza, il ricorso per cassazione avverso la decisione della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura nel caso in cui la censura presupponga un indagine di fatto ed il ricorrente non abbia provveduto, in sede di gravame, ad esplicitare in quali termini la relativa questione sia stata sollevata davanti al Giudice disciplinare. (Fattispecie nella quale il ricorrente aveva eccepito l'intempestività dell'esercizio dell'azione disciplinare limitandosi a sostenere che il termine annuale di decadenza doveva essere calcolato con decorrenza dalla data della concreta conoscenza dei fatti già oggetto di un precedente giudicato disciplinare di assoluzione; la Corte, nel dichiarare la censura inammissibile perché non autosufficiente, ha rilevato che la stessa non poteva essere accolta nemmeno come censura afferente il vizio di motivazione, posto che anche il ricorso per cassazione redatto secondo le norme del codice di rito penale, qual'è quello in esame, deve rispettare il principio dell'autosufficienza).
In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, essendo l'illecito riconducibile al "genus" degli illeciti amministrativi, non trova applicazione il principio del "favor rei", così come sancito dall'art. 2 cod. pen., in forza del quale, in deroga al principio "tempus regit actum", l'eventuale "abolitio criminis" opera retroattivamente, né tale principio è desumibile dalla norma transitoria contenuta nell'art. 32-bis, secondo comma, del d.lgs. n. 109 del 2006, il quale non prevede un sistema di regole omologo all'art. 2 cod. pen., valido sia per la riforma della fattispecie dell'illecito sia per le modifiche del trattamento sanzionatorio, ma si limita a stabilire, per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 109 cit., l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 "se più favorevoli".
La confisca del veicolo prevista in caso di condanna per la contravvenzione di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, così come per quella di guida in stato di ebbrezza, non è una misura di sicurezza patrimoniale, bensì una sanzione penale accessoria. (In motivazione la Corte ha chiarito che pertanto la misura ablativa non può essere disposta in relazione agli illeciti commessi prima della sua introduzione).
Ai fini dell'operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d'appello del procedimento, ostativa all'applicazione retroattiva delle norme più favorevoli.
L'abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata e la soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 D.Lgs. n. 5 del 2006) hanno determinato l'abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura concorsuale (art. 236, comma secondo, R.D. n. 267 del 1942). Conseguentemente, qualora sia intervenuta condanna definitiva per tale reato, il giudice dell'esecuzione è tenuto a revocare la relativa sentenza.
In materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, trattandosi di sanzioni amministrative, non vige, salvo diversa espressa previsione di legge, il canone penalistico dell'applicazione retroattiva della norma più favorevole ed al fatto si applica la sanzione vigente nel momento in cui il medesimo è stato commesso.
La questione concernente la "abolitio criminis" è pregiudiziale rispetto alla questione - esaminabile in assenza di cause di inammissibilità del ricorso per cassazione - relativa all'estinzione del reato per prescrizione.
In tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l'adesione della Romania all'Unione europea, con il conseguente acquisto da parte dei rumeni della condizione di cittadini europei, non ha determinato la non punibilità del reato di ingiustificata inosservanza dell'ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato commesso dagli stessi prima del 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore del Trattato di adesione, in quanto quest'ultimo e la relativa legge di ratifica si sono limitati a modificare la situazione di fatto, facendo solo perdere ai rumeni la condizione di stranieri, senza che tuttavia tale circostanza sia stata in grado di operare retroattivamente sul reato già commesso).
- Art. 25 Cost. -
- Art. 135 c.p. -
- Art. 648 c.p.p. -
- Art. 29 disp. att. c.p. -
- Art. 54 disp. att. c.p.